Il suggestivo sito vanvitelliano del Succorpo dell’Annunziata ospita il debutto assoluto di Irena Sendler, messinscena di incredibile valore storico che ricorda l’eroismo dell’infermiera polacca che salvò più di 2500 bambini ebrei dal ghetto di Varsavia. Ultima replica stasera alle ore 19:30.

“Dobbiamo lottare per ciò che è buono. Il buono deve  prevalere, deve prevalere e io ci credo.
Finchè vivrò,finchè avrò forza, professerò che la cosa più importante è la Bontà.”
Irena Sendler

Irena Sendler

Irena Sendler

Irena Sendler nacque Irena Krzyżanowska a Varsavia, nel 1910, e lì morì nel maggio del 2008.
In vita fu sposa di due mariti: dal primo ebbe il cognome, dal secondo tre figli.
Fu un’infermiera e un’assistente sociale polacca.
Fine.
Questa sarebbe stata la biografia della Sendler agli occhi del mondo – e fin troppo lunga… – se, nel 1999, un gruppo di studenti canadesi, impegnati in un concorso di studi storici, non avesse quasi per caso cominciato a studiare le vicende legate a questa anziana signora, indiziata d’aver salvato moltissimi bambini ebrei dal ghetto di Varsavia e che per questo aveva ottenuto il riconoscimento di “Giusta tra le nazioni”, conferitole dallo Yad Vashem.
E allora è doversoso raccontare un’altra storia.
Irena Sendler, nata Krzyżanowska, fu un raggio di luce nell’orrore della Varsavia occupata dai nazisti. Giovane donna, infermiera, cattolica, umana, preferì mettere a repentaglio la vita propria e quella dei cari piuttosto che restare inerme di fronte agli abomini, alle violenze, all’orrido male compiuti dagli invasori tedeschi a danno degli ebrei della città.
Il ghetto di Varsavia fu il suo campo di battaglia, salvare i bambini la sua missione di vita: tra il 1939 ed il 1943 si spese totalmente alla causa della protezione e della tutela dei bambini ebrei, abbandonati a morire di fame e di tifo in quell’inferno sceso in terra, costretti a mendicare un tozzo di pane, forzati a vivere in mezzo ai morti, a camminare sui morti, a diventare quei morti.
Con la complicità di preziosi collaboratori e della Zegota – il comitato polacco clandestino per l’aiuto agli ebrei – la Sendler riusci a tradurre in salvo ben 2500 bambini; si compiva così l’insegnamento del Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.
Nell’ottobre del 1943 fu arrestata e torturata dai nazisti: non svelò una sola parola.
Fu condannata a morte per fucilazione, ma riuscì a scampare al destino comminatole dalle autorità tedesche grazie all’intervento della stessa Zegota – che corruppe coloro che sarebbero dovuti divenire i suoi carnefici – e, sebbene fosse ormai costretta all’infermità per le percosse subite, continuò a organizzare tentativi di salvataggio dei bambini ebrei, pur vivendo in clandestinità.
Questa storia dimenticata e riscoperta, questo fiore di bene che fa sbocciare la vita, è il tema di Irena Sendler – La terza madre del ghetto di Varsavia, opera teatrale che, ideata e scritta da Roberto Giordano con la consulenza alle ricerche storiche di Suzana Glavaš, sarà rappresentata – con l’Alto Patrocino dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli – presso il succorpo dell’Annunziata ancora oggi 27 gennaio dopo il debutto assoluto di ieri sera.

Gli attori e il regista dello spettacolo

Gli attori e il regista dello spettacolo

La piéce, che vede in scena, nei panni della Sendler, una Federica Aiello essenziale e puntuale, non banale pur nella semplicità dell’interpretazione, ripercorre i momenti concitati di quegli anni terribili e senza speranza, in cui, così come un faro, l’infermiera polacca illuminò un angusto sentiero di giustizia e di umanità, rendendosi terza madre di oltre 2000 bambini, in aggiunta alla madre naturale e a quella adottiva polacca, e dunque trait d’union tra le due figure materne.
La messinscena, che si serve anche della recitazione di Chiara Esposito, Luca Gallone, Greta Giordano, Roberto Giordano e David Glavaš Weinberger, con l’ausilio di filmati d’epoca e di registrazioni audio, si propone di interagire in maniera multimediale con lo spettatore, per imprimere più fortemente negli occhi del pubblico il seme fertile di bontà piantato in quel contesto di morte, di abbruttimento, di disumanizzazione dalla buona Sendler.
Perché è la bonta il tema chiave della messinscena.
Perché, come ha insegnato l’infermiera polacca, pur se vessati, torturati, rovinati, sofferenti e offesi, non bisogna mai dimenticarsi della bontà e questo puro e semplice sentimento naturale deve farsi guida della condotta umana.
Perché  anche nella più nera della sciagura – e notevole è ricordare che sua madre, ormai anziana e morente, nell’ultimo incontro avuto con la figlia, le impose di andar via e di giurare “che al mio funerale non ci sarai” – bisogna trovare un posto per ciò che è giusto, per ciò che è umano, per ciò che è buono.
Perché in ogni epoca, in ogni situazione, in ogni mondo possibile, bisogna essere in grado – così come la Napoli che si ribellò al nazifascismo – di intendere il mondo non come diviso in razze, religioni, nazionalità, ma solamente in buoni e cattivi.

Antonio Stornaiuolo

 

http://www.quartaparetepress.it/2016/01/27/la-terza-madre-del-ghetto-di-varsavia/